Tutmosi III ha parlato al suo visir Rekhmira con il pastorale e il flagello incrociati sul petto. Ha tracciato le linee di condotta del governo e ha espresso, con la forza che gli viene dalla sua natura divina, le iniziative dello stato che vuole siano promosse. Rekhmira ha baciato il piede del suo signore, un privilegio che spetta solo a un visir, e ora sta rigido e composto davanti agli alti funzionari a parlare a sua volta, in nome del faraone come dice il bastone di comando che impugna nella destra. Si rivolge in tono secco, al "soprintendente alle greggi del dio", al "sovrastante dei granai", al "rettore dei soldati", al "sigillatore del re", titoli e ruoli di un’impalcatura amministrativa che ha un registro, un dicastero, una carica per qualsiasi attività. Chiude l’udienza la recita delle massime di buona condotta, che si riassumono nella formula: "Colui che il re ama sarà fortunato, ma per chi è ostile a Sua Maestà non ci sarà neppure una tomba".